Premessa
Il 28 ottobre 2025 a Castelnuovo del Garda (Verona), è stata uccisa con svariati fendenti la 33enne Jessica Stapazzolo Custodio de Lima.
L’autore, il 41enne Reis Pedroso Douglas, con cui conviveva, è stato arrestato e la misura cautelare convalidata.
Ciò che emerge è un quadro drammatico: precedenti di violenza, una misura di protezione disattesa e infine il tragico epilogo.
In questo articolo analizziamo i punti deboli del sistema di tutela delle vittime di violenza domestica e offriamo una prima lettura criminologica del caso, utile a riflettere su cosa non ha funzionato.
Le misure di protezione: quando la teoria non diventa realtà
Nonostante la presenza di un divieto di avvicinamento e l’applicazione di un braccialetto elettronico, Jessica non è stata realmente protetta.
Questo caso mette in luce il disallineamento tra la misura cautelare disposta e la protezione effettiva: strumenti formalmente corretti, ma inefficaci nella pratica.
Secondo le prime ricostruzioni, il braccialetto elettronico non risultava indossato al momento dell’omicidio.
Le ipotesi più plausibili riguardano:
- Rimozione volontaria del dispositivo, non tempestivamente rilevata.
- Guasto tecnico o batteria scarica, che avrebbe impedito la trasmissione del segnale.
- Ritardi nel monitoraggio o mancanza di un protocollo d’intervento immediato dopo l’allarme.
- Limiti strutturali del sistema, che non intercetta minacce telefoniche, stalking digitale o pressioni psicologiche a distanza.
In altre parole, il braccialetto non garantisce da solo la sicurezza: serve una rete di controllo reale, integrata e costantemente attiva.
Un sistema che si ferma alla forma
Ogni misura di protezione è efficace solo se accompagnata da:
- Verifica costante che il braccialetto sia indossato,
- Pronto intervento immediato in caso di allarme,
- Supporto psicologico e legale per la vittima,
- Coordinamento operativo tra forze dell’ordine, magistratura e servizi sociali.
Senza questi elementi, il provvedimento rischia di restare una garanzia solo formale.
E il caso di Jessica, purtroppo, lo conferma.
Il ciclo della violenza domestica
Per comprendere meglio questo tipo di tragedie, è utile richiamare il concetto di ciclo della violenza domestica, che descrive l’andamento tipico delle relazioni abusive:
- Fase di accumulo della tensione – l’aggressore aumenta il controllo, umilia, isola.
- Fase della violenza acuta – esplodono episodi di aggressione fisica o psicologica.
- Fase di pentimento o “luna di miele” – l’autore mostra rimorso, promette cambiamenti, spingendo la vittima a non interrompere la relazione.
Questo schema tende a ripetersi, diventando ogni volta più intenso e pericoloso.
Nel caso di Jessica, gli indicatori erano chiari: convivenza, recidività, controllo costante, uso di sostanze e una progressiva escalation di violenza culminata nell’omicidio.
La perdita dell’affidamento della figlia, avvenuta nei mesi precedenti, è un segnale indiretto di quanto la situazione fosse già degenerata.
Profilo criminologico dell’autore
Il profilo di Reis Pedroso Douglas rientra in un pattern purtroppo frequente nei casi di femminicidio domestico:
- Recidività nei comportamenti violenti, anche dopo denunce o ammonimenti.
- Controllo coercitivo della partner (telefonate, messaggi, gelosia patologica).
- Convivenza forzata, che amplifica il rischio di aggressioni.
- Abuso di sostanze, fattore aggravante della disinibizione e dell’impulsività.
- Intensità dell’atto omicida, con numerosi fendenti, indice di un’esplosione di rabbia e volontà distruttiva.
Questi elementi confermano che il rischio di recidiva era concreto e che il livello di pericolo non è stato valutato nella sua piena gravità.
Dove il sistema ha fallito
Il caso di Jessica impone una riflessione su almeno quattro punti critici:
- Monitoraggio insufficiente dei braccialetti elettronici.
- Mancanza di protocolli d’urgenza in caso di segnale d’allarme.
- Assenza di percorsi strutturati di protezione e reinserimento per le vittime.
- Scarsa valutazione dinamica del rischio, che deve essere aggiornata nel tempo.
Non basta disporre un provvedimento: serve un sistema integrato di protezione, capace di seguire la vittima nel suo percorso di uscita dalla violenza.
Una riflessione necessaria
Ogni femminicidio riapre ferite sociali e istituzionali.
Il caso di Jessica non è solo una tragedia privata, ma il sintomo di un sistema che reagisce più che prevenire.
Le misure di protezione sono strumenti indispensabili, ma devono diventare parte di un percorso concreto di sicurezza e accompagnamento, non un atto burocratico.
Solo unendo tecnologia, formazione, tempestività e sostegno umano possiamo trasformare la cautela in protezione effettiva.
Avv. Matteo della Pietra
con il contributo della criminologa avv. Angelica Giancola