- Editor Matteo
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- Ottobre 26, 2025
Premessa
Nel linguaggio comune si parla spesso di “padre che paga” e “madre che riceve”: è la situazione più frequente, ma in diritto non è così semplice.
L’obbligo di mantenere i figli è reciproco e proporzionale: ciascun genitore contribuisce in base alle proprie risorse e capacità.
Per questo preferisco parlare di genitore obbligato e genitore beneficiario. È una distinzione più corretta, perché in astratto entrambi possono trovarsi nell’una o nell’altra posizione.
Una recente decisione che fa chiarezza
Una recente sentenza della Corte d’Appello di Trieste ha posto l’accento su un punto decisivo:
il contributo di mantenimento deve essere parametrato ai bisogni dei figli, tenendo conto del tenore di vita della famiglia, e non (soltanto) del reddito dei genitori.
Nel caso esaminato, il contributo al mantenimento stabilito in primo grado era stato invece calcolato dando troppa importanza al reddito del genitore obbligato, senza una vera valutazione dei bisogni effettivi dei figli.
Così facendo, il contributo aveva finito per superare quanto realmente necessario a coprire le spese dei minori: quando ciò accade, la parte eccedente non serve ai figli, ma si trasforma — di fatto — in un ingiusto arricchimento del genitore beneficiario, che ne dispone liberamente senza obbligo di rendicontazione.
Il rischio di un effetto distorsivo
È importante ricordare che il genitore beneficiario non deve giustificare come spende la somma ricevuta: la legge presume che la utilizzi nell’interesse dei figli.
Ma se l’importo è superiore alle reali esigenze, la differenza resta nella sua disponibilità personale.
👉 In pratica, un mantenimento mal calibrato in eccesso smette di essere un “mantenimento per i figli” e diventa un indebito sostegno economico all’altro genitore.
È questa la vera anomalia che la Corte di Trieste ha voluto evitare: quando il giudice attribuisce troppo peso al reddito del genitore obbligato e perde di vista la realtà quotidiana dei bisogni dei figli, il mantenimento smette di essere equo e si trasforma in uno strumento di riequilibrio patrimoniale tra i genitori.
Il principio da seguire: proporzione e concretezza
Secondo la Corte, il criterio corretto è quello di parametrare la misura del contributo alle esigenze effettive dei figli, rapportandole in modo proporzionale alle risorse di ciascun genitore.
Non si tratta di “dividere il reddito”, ma di sostenere i figli in modo equo, mantenendo — per quanto possibile — il tenore di vita che avevano quando la famiglia era unita.
È lo stesso principio ribadito anche in più recenti pronunce della Corte di Cassazione, che impongono ai giudici di motivare le decisioni sulla base di dati concreti, aggiornati e comparati, non di presunzioni o automatismi.
Per approfondire
Chi desidera capire meglio il ragionamento dei giudici può leggere la sentenza integrale della Corte d’Appello di Trieste, allegata a questo articolo: un’occasione per chi è curioso di conoscere da vicino come viene argomentato un provvedimento giudiziario “originale”.
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Sono un avvocato familiarista e mi occupo ogni giorno di questioni legate ai rapporti economici tra genitori, affidamento e separazioni.
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avv. Matteo della Pietra